Argomento un tempo riservato ai filosofi, la coscienza è ormai entrata nelle aule di fisica teorica. Sebbene il problema sia lontano dall’essere risolto, la coscienza è stata infatti descritta in termini matematici.
Può quindi essere capita, esplorata e discussa dai ricercatori all’interno della meccanica quantistica e della teoria dell’informazione. Si tratta di un approccio con domande precise sulla natura della realtà, che poi la scienza sperimentale potrebbe aiutare a districare.
Si considera la coscienza come uno stato della materia (come un solido, un liquido o un gas) e quindi con proprietà che emergono dalle leggi fisiche che governano l’universo. Con queste proprietà i fisici ragionano sulle condizioni che consentono alla coscienza di emergere e capire perché il mondo attorno a noi ci appare così com’è.
Questo approccio innovativo allo studio della coscienza nasce al di fuori del mondo della fisica ed è dovuto al neuroscienziato Giulio Tononi. Già nel 1998, il prof. Tononi propose che la coscienza debba avere due specifiche caratteristiche:
1) deve essere capace di immagazzinare ed elaborare grandi quantità di informazione;
2) questa informazione deve essere integrata in un tutto unificato così che sia impossibile dividerla in parti indipendenti.
La seconda caratteristica si riferisce all’unità dell’esperienza cosciente che si riflette ad esempio nell’incapacità di vedere contemporaneamente sia il vaso che i due profili (possiamo solo essere coscienti o del vaso o dei due profili umani).
La svolta epocale è che entrambe queste caratteristiche possono essere espresse in termini matematici. Così i fisici possono ragionarci sopra. Inoltre, mentre i fisici possono ora divertirsi a trovare soluzioni matematiche al problema della coscienza, l’applicazione pratica di queste scoperte servirà a valutare il grado di coscienza di persone uscite dal coma e incapaci di comunicare.
Il neurofisiologo Marcello Massimini, stretto collaboratore di Tononi, è infatti passato dalla teoria alla pratica ed ha elaborato una tecnica per valutare il grado di coscienza.
Il coma è simile alla fase 4 del sonno, con la differenza che il coma non è risvegliabile (il neurologo applica stimoli dolorifici, ma il paziente non si sveglia).
Non si tratta dunque di uno stato permanente, ma sempre di uno stato di transizione (una modalità in cui entra il cervello per cercare forse di rimediare ad un danno).
Dopo due o tre settimane di coma un paziente ha poi solo due possibilità:
1) morte cerebrale;
2) veglia (il tronco encefalico riprende le attività che regolano la respirazione, si aprono gli occhi).
Il problema è che tra coloro che aprono gli occhi si possono poi verificare tre stati:
i) vegetativo con soli movimenti automatici;
ii) minima coscienza;
iii) comunicazione.
Tra chi è in uno stato vegetativo (e quindi incosciente) e chi si trova in uno stato di minima coscienza l’errore diagnostico può essere del 40% .
Ecco che saper valutare lo stato di coscienza del paziente, al di là della sua capacità di comunicare e/o muoversi, diventa fondamentale per poter decidere le terapie e per evidenti questioni etiche.
Grazie alla tecnica sviluppata da Massimini si potrà anche valutare il livello di coscienza di pazienti completamente paralizzati per lesioni al tronco encefalico, detti locked-in.
Da casi come quello di Jean-Dominique Bauby, l’autore di Lo Scafandro e la Farfalla, che grazie alla padronanza del movimento della palpebra sinistra è riuscito a far scrivere un libro, scopriamo infatti che la mente dei locked-in è lucida.
La coscienza dunque può esserci anche in assenza di input sensoriali (come durante il sonno rem, quando sogniamo) e di output motori (come nei locked-in).
Nel 2009 Massimini e colleghi iniziano a dimostrare la teoria di Tononi misurando la risposta del cervello dopo una specifica stimolazione. Negli anni hanno confrontato le risposte durante la veglia e le varie fasi del sonno e sotto l’effetto di diversi anestetici.
Studiando volontari sani durante la veglia scoprono che le risposte ad un preciso stimolo sono specifiche e uguali da un giorno all’altro, si tratta di risposte complesse differenziate e integrate.
Durante la fase 3 del sonno non-rem la risposta è intensa e stereotipata, ma localizzata, e all’aumentare dell’intensità dello stimolo la risposta diventa più diffusa, ma senza complessità (senza integrazione d’informazione).
Durante il sonno rem c’è complessità.
Durante l’anestesia con chetamina (che consente operazioni chirurgiche senza dolore, ma gli occhi sono aperti e il paziente è cosciente, infatti non si usa più in clinica) c’è una risposta complessa simile alla veglia.
Il cervello insomma è in grado di passare da stati di complessità (misurabili con elettrodi sullo scalpo), in cui c’è coscienza, a stati in cui non c’è complessità e non c’è coscienza, come durante il sonno non-rem.
Riassumendo: la presenza o no di coscienza correla con la complessità (dell’elaborazione dell’informazione) nel cervello ed è misurabile.
Là dove c’è integrazione di informazione c’è coscienza, mentre dove l’informazione viene elaborata, ma non propaga, o propaga poco, e non viene integrata, non c’è complessità e non c’è coscienza.
Il meccanismo cellulare e molecolare alla base di queste diverse modalità di funzionamento del sistema nervoso centrale sembra essere una diversa conduttanza al potassio. Sulla membrana cellulare dei neuroni ci sono dei canali che lasciano passare ioni potassio (K+). Durante il sonno ad onde lente (senza sogni) e durante l’anestesia questi canali si aprono nei neuroni del tronco encefalico e determinano l’uscita dalla complessità.
E questa è la realtà materiale in cui ci muoviamo:
il nostro livello di coscienza dipende dall’apertura/chiusura di canali al K+
Ma torniamo un po’ ai filosofi che per millenni si sono occupati della coscienza. E in particolare alla pratica della consapevolezza del respiro, come via per accedere ad una profonda conoscenza di sé e della realtà assoluta.
Nel 2006 ascoltai un discorso del prof. Mauro Bergonzi, esperto di religioni e filosofie dell’India, sulla coscienza e le forme mutevoli della realtà.
Diceva Bergonzi:
“Tutti i cammini spirituali riconoscono che l’esperienza trascendente non si può spiegare con le parole. Qualunque idea precostituita è un ostacolo al raggiungimento della liberazione: un’esperienza troppo vasta e ricca per essere compresa. Chi ha idee chiare e predefinite sulla meta, non farà altro che scoprire ciò che già sa. La spiritualità invece è un’esperienza diretta della felicità assoluta incondizionata. È un’esperienza in prima persona della vera realtà, di un centro stabile immutabile indistruttibile, mentre la realtà materiale a cui siamo abituati è effimera, illusoria, inaffidabile.
Ma cos’è per noi la realtà?
La realtà è per ognuno di noi la propria esperienza e l’esperienza è la propria coscienza.
L’esperienza si manifesta perché sono cosciente, se non sono cosciente l’esperienza non c’è.
Tutta l’esperienza si riduce dunque a percezione-concezione, ed è condizionata.
Se però la coscienza coincide con l’esperienza condizionata allora non c’è scampo, siamo destinati a conoscere solo la realtà materiale. Se la coscienza invece è prigioniera dell’esperienza condizionata, allora possiamo ammettere la possibilità che se ne possa liberare!
Il sentirci prigionieri delle forme mutevoli della realtà significa che in noi c’è un presentimento di libertà!
Le tradizioni spirituali dicono che la coscienza si identifica momentaneamente con le forme mutevoli, ma non si esaurisce in esse.
L’identificazione ammette la possibilità di dis-identificazione.
E se la coscienza si può dis-identificare dall’esperienza condizionata allora significa che l’esperienza condizionata non è tutta la realtà, ma solo un aspetto della realtà.”
Praticare ogni giorno l’attenzione non giudicante al respiro e alle sensazioni nel corpo sviluppa la capacità di sentire la realtà sottile del nostro corpo con consapevolezza, cioè all’interno del regno della coscienza (non si tratta di uno stato ipnotico o di trance in cui c’è perdita di coscienza – analogo ad esempio ad un attacco epilettico o al sonno profondo, caratterizzati da iper-sincronia neuronale e assenza di complessità).
Quindi mentre i fisici ci sorprenderanno con nuove definizioni della coscienza (e i neurologi avranno nuovi strumenti per valutare il grado di coscienza di pazienti paralizzati), dovrà avvenire un cambio di paradigma sul piano della percezione della realtà da parte della comunità umana.
Mi piace pensare che tra un po’ di tempo (forse qualche decennio o forse qualche secolo) potremo tranquillamente chiacchierare al bar, o passeggiare insieme, tutti consapevoli di non esistere se non nelle nostre teste. Dopotutto solo 400 anni fa la maggior parte di noi avrebbe indicato come matto chi sosteneva che la Terra fosse tonda e girasse attorno al Sole.