La mente e il corpo sono intimamente legati e si influenzano a vicenda.
Avere una mente chiara e lucida è quindi molto importante.
Come scrivevo nell’articolo la ricettà di Seneca per la serenità già nell’antichità i saggi hanno sviluppato tecniche utili a conoscerci nel profondo.
Una di queste è la meditazione Vipassana di origine buddista, oggi diffusa anche con il nome di Mindfulness.
Le neuroscienze negli ultimi decenni hanno inoltre dimostrato che il nostro cervello e il nostro corpo agiscono secondo memorie apprese. In pratica il nostro agire è sempre basato su condizionamenti passati. La coscienza, con cui ci identifichiamo, ha solo un ruolo a posteriori nel dare un senso a tutte le informazioni che abitano la nostra mente. È bene dunque sviluppare una migliore comprensione di tutto ciò che gira appunto, attimo dopo attimo, nella nostra mente e nel nostro corpo.
Attraverso la meditazione di Consapevolezza, o Vipassana, ci si allena ad essere presenti a ciò che accade dentro di noi, nell’attimo in cui accade. Questo porta pace, saggezza e libertà dai condizionamenti.
L’esperienza quotidiana dimostra che il nostro stato mentale influisce sul nostro benessere. Quando la mente è calma, il comportamento è più positivo. Quando la mente è agitata non si riesce a mantenere la serenità, nemmeno all’interno di un ambiente familiare. Lo stato mentale determina le nostre esperienze di piacere e di felicità e quindi anche la nostra buona salute. Conoscere i processi interiori è cruciale per affrontare lo stress, comprendere le reazioni automatiche e vivere in armonia con gli altri.
Durante la meditazione si sviluppa una maggiore consapevolezza delle emozioni e dei pensieri, attraverso l’attenzione non giudicante al respiro e alle sensazioni nel corpo. Osservare da vicino la propria mente permette di essere più in pace con se stessi e con gli altri.
Invece di identificarmi con i miei contenuti mentali, guardo i pensieri scorrere dentro di me
Mi dedico a questa attività da molti anni, soprattutto per indole personale. Era il 1988 quando, durante una lezione di letteratura inglese, scoprii lo Stream of Consciousness o monologo interiore. L’eccitazione era tale che corsi subito in biblioteca a prenotare l’Ulisse di James Joyce. Prima d’allora non avevo mai abbandonato la lettura di un libro: restituii l’opera avendone letta meno di un quarto. D’altronde seguire il flusso della coscienza di qualcuno è alla fine inutile, ma quell’esperienza mi aprì all’osservazione della mia mente. Invece di identificarmi con i miei pensieri, iniziai a vederli scorrere dentro di me.
Fu poi all’inizio degli anni ’90 che provai a meditare la prima volta con un gruppo di persone vestite di bianco e ne fui terrorizzata.
Iscritta al corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, avevo appena scoperto l’equazione di Schrödinger, che descrive il comportamento di un elettrone in un atomo solo in termini di probabilità.
Addio determinismo e certezze: anche quella scoperta era spaventosa.
Mi tuffai allora nello yoga sperando che potesse alleviare le mie tensioni psico-fisiche e riprovai a meditare qualche anno dopo durante un corso di teatro.
Gli intensi esercizi di rilassamento e bioenergetica a cui ci sottoponevamo, mi portarono a sperimentare stati di coscienza inusuali.
Il mio approccio scientifico (sperimentale e non dogmatico) alla realtà, mi spinse a testare vari metodi e insegnanti per comprendere cosa accadesse dentro di me.
Ne risultò una crescente consapevolezza di me stessa a livello fisico, emotivo e mentale. Magicamente iniziai ad osservare anche un diverso fluire nella mia vita quotidiana.
Determinata a capire le basi biologiche di quegli stati di pace e profonda consapevolezza, conseguii un dottorato di ricerca in Neurobiologia.
Oggi, grazie alla mia formazione accademica, posso leggere le riviste specialistiche con le più recenti scoperte delle neuroscienze riguardanti meditazione, coscienza e rapporto corpo-mente.
La mia pratica meditativa quotidiana si fonda sull’Anapanasati, il discorso del Buddha sulla consapevolezza del respiro, che indica nella coltivazione dell’attenzione la via diretta per superare la sofferenza e accedere all’incondizionato.
Coltivare la pace interiore è l’atto d’amore più grande
Oggi so che coltivare la pace interiore è l’atto d’amore più grande che ognuno di noi possa fare. Essere in pace con se stessi permette infatti di creare un ambiente più in pace tutt’attorno. Prendersi cura del proprio corpo e della propria mente è dunque un atto di profondo altruismo e di amore per la vita!
La pace nasce dentro di noi: prendiamoci cura di noi stessi!
Se non hai mai meditato e non sai da dove cominciare, inizia con la mia serie di 10 meditazioni di 13 minuti l’una che trovi su Insight Timer: