La maggior parte di noi vive nell’illusione di poter sempre agire in modo libero. Si è convinti ad esempio che la capacità di pianificare e poi perseguire i propri obiettivi sia tutta dovuta alla buona volontà. Eppure chi decide di mettersi a dieta sa benissimo che la volontà da sola non basta e così per molte altre situazioni.
Se osserviamo con attenzione ci accorgiamo che la nostra capacità di scelta è molto ridotta.
È come se a volte una parte di noi remasse in senso contrario ai nostri propositi o comunque in una direzione un po’ diversa da quella che avevamo programmato. Di fatto anche quando tutto si svolge secondo i nostri piani, spesso ammettiamo di aver avuto un’intuizione oppure parliamo di sesto senso, divina provvidenza o cose simili. Insomma, quando ci fermiamo a considerare il modo sottile con cui agiamo, ci accorgiamo che la nostra volontà cosciente ha un ruolo marginale.
In filosofia e in teologia la questione è dibattuta da secoli:
Noi esseri umani siamo o non siamo dotati di libero arbitrio?
Le nostre azioni sono cioè determinate in modo libero, oppure c’è qualche altro meccanismo all’opera (Dio, destino, inconscio, ecc.)?
E chi commette un reato allora è sempre colpevole, oppure può beneficiare di qualche attenuante?
Negli ultimi decenni, grazie alle notevoli scoperte sul funzionamento del cervello, le neuroscienze stanno inquadrando il problema da un punto di vista scientifico.
Ben oltre la semplice individuazione di una mente inconscia si è indagato a fondo sulla struttura e sul ruolo della sfaccettata e frammentata mente cosciente.
Il libero arbitrio è dunque un’illusione?
Per cercare di rispondere a quella domanda il 9 ottobre del 2011 ero alla conferenza del neuroscienziato Patrick Haggard a Bergamo Scienza.
Prima di addentrarci nella questione è però necessaria un po’ di storia.
Nel 1983 Benjamin Libet pubblicò i risultati dei primi esperimenti di neurofisiologia che studiavano la consapevolezza di un atto volontario. Il neurofisiologo misurò, mediante elettroencefalogramma, l’attività cerebrale che precede un atto motorio volontario. Scoprì che la corteccia cerebrale si attivava qualche centinaio di millisecondi PRIMA dell’intenzione del soggetto di muoversi. Ne concluse che un’azione libera volontaria inizia in modo inconscio.
Se vi appassiona l’argomento potete leggere il suo bellissimo libro:
![]() | Il fattore temporale nella coscienza |
Sulla scia di questi risultati il filosofo Daniel Dennett affermava in quegli anni che la coscienza è un’illusione e che è l’attività cerebrale a controllare le nostre azioni.
Alcuni psicologi erano della stessa idea. Così come le azioni, dicevano, il sentirci liberi di scegliere è creato dalla mente e dal cervello. Noi sentiamo di volere in modo cosciente le nostre azioni, ma allo stesso tempo le nostre azioni ci accadono. Il sentirci liberi di scegliere servirebbe solo ad apprezzare e a ricordare le azioni svolte dal nostro corpo e dalla nostra mente. Sebbene dunque il libero arbitrio sia un’illusione, concludevano, ci serve come guida per capire noi stessi e sviluppare un senso di responsabilità e moralità.
Fu così che, date le conseguenze sociali, etiche e legali di queste conclusioni, nacque la neuroetica (una materia che fa da ponte tra le scienze empiriche e la speculazione filosofica).

Tirai dunque un sospiro di sollievo quando il prof. Haggard dal palco del Teatro Sociale di Bergamo ci disse che la coscienza non è una finzione della mente.
Peccato che poco dopo ci disse anche che crediamo di essere molto più in controllo di quanto realmente siamo. “L’esperienza cosciente” continuò “non controlla, ma accompagna le nostre azioni per poterle correggere attraverso l’apprendimento.”
Una cosa è certa: la mente logico-razionale non ci governa. La sua funzione pare essere quella di gestire la moltitudine di informazioni che girano per la nostra testa. Informazioni che però appunto girano a nostra insaputa, nemmeno ci accorgiamo di tutta questa attività.
Se la nostra libertà di agire è dunque solo illusoria, perché continuiamo tutti a comportarci come se queste scoperte non fossero avvenute?
Ci prendiamo i meriti e le colpe delle nostre azioni, gioiamo o ci rattristiamo per atti che crediamo scelti da noi e dal nostro prossimo, ma gli scienziati che hanno indagato il funzionamento del sistema nervoso riferiscono che non c’è nessun io granitico e immutabile a cui attribuire nulla, benché noi tutti si viva nell’illusione che ciò esista.
Cosa ci dicono le neuroscienze?
Le neuroscienze sembrano dirci che esiste solo un universo soggettivo in cui l’Io si costruisce dal linguaggio, dall’ambiente e dalla società. La coscienza non ha nessun ruolo attivo nel prendere le decisioni, è solo una specie di smistatore che coordina le molteplici azioni avviate a livello cerebrale.
I meccanismi all’opera dentro di noi mostrano che le nostre scelte (comprese quelle morali) non sono il frutto di riflessioni e ragionamenti, ma sono il risultato di condizionamenti passati. Se abbiamo vissuto, ad esempio, in un ambiente in cui regnava l’onestà, con altissima probabilità saremo onesti. Se siamo cresciuti in un ambiente in cui regnava la violenza con un’altissima probabilità saremo violenti.
Le nostre credenze sono dunque influenzate dalla cultura e dall’ambiente in cui viviamo e poi dall’architettura della nostra mente, su cui non abbiamo alcun controllo.
La ricerca sulle basi cerebrali della vita mentale fa insomma vacillare i concetti di autocoscienza e di persona.
Se sono dunque meccanismi psicologici e neurali ad essere responsabili del comportamento umano, come possiamo avere libero arbitrio?
Davvero non siamo liberi come dicevano Libet, Dennet e tanti altri?
La soluzione al problema non può venire solo dalle neuroscienze.
Insomma tornai a casa più confusa di prima e cercai di chiarirmi le idee meditando.
Come posso controllare le mie scelte?
Se una fila di neuroscienziati mi dicono che ciò che percepiamo come realtà è ciò che ci raccontiamo nella nostra mente, devo stare ben attenta a ciò che mi frulla per la testa.
È appurato che una parte di noi stessi è inconscia ed esiste senza che la nostra coscienza ne sia ad ogni istante consapevole. Se con libero arbitrio intendiamo la libertà di scegliere, allora affinché ci sia libero arbitrio dobbiamo ammettere la possibilità ad ogni istante di essere vergini mentalmente.
La meditazione di consapevolezza descritta dal Buddha mira proprio a questo:
sviluppare un’osservazione permanente che accede attimo dopo attimo ai contenuti della mia coscienza tutta
(coscia, inconscia, frammentata che sia).
Per quanto possa apparire impossibile a molti, penso che così funzioni la mente di chi ha raggiunto l’Illuminazione. Uno stato molto difficile da realizzare.
Significa essere presenti e attenti attimo dopo attimo, non condizionati dal passato e non avviluppati nella progettazione del futuro o nelle fantasie e nelle interpretazioni.
Sembra che nel cervello di chi medita da lungo tempo accada proprio questo. Esistono studi che mostrano come i circuiti neuronali del dolore di monaci zen sono ‘scollegati’ dai circuiti dell’elaborazione cognitiva. In pratica, chi ha osservato a lungo la propria mente ha imparato a non indugiare in racconti, storie ed opinioni personali. Sa osservare in modo isolato qualsiasi evento sensoriale o enterocettivo. E il correlato neuronale di questa modalità d’osservazione è un disaccoppiamento di questi circuiti primari dai circuiti ‘superiori’ dell’elaborazione cognitiva.
Senza questo tipo di consapevolezza siamo solo dei robot, delle macchine automatiche, condizionate.
Se sei fortunato e hai subito condizionamenti positivi, bene. Altrimenti, la vita è un inferno di sofferenza. E voler cambiare con la sola volontà non aiuta, anzi è provato che la non accettazione dello stato presente può portare a sensi di colpa, vittimismo e frustrazione.
Occorre agire al di fuori della volontà, de-condizionando gli automatismi inconsci.
Uno dei primi studiosi ad accostare i propri studi sulla volontà al buddhismo fu il dottor Jeffrey Schwartz. Egli pubblicò i suoi lavori sulla neuroplasticità accostandoli all’antica pratica buddhista della consapevolezza. L’abilità umana di influenzare l’ambiente circostante, concluse Schwartz, non è il semplice risultato di una scelta cosciente, ma la capacità di allenare prima abitudini inconsce.
Se ci riflettiamo, è così anche per l’apprendimento di un mestiere o di qualsiasi altra abilità. Tra i condizionamenti positivi possiamo infatti includere l’aver appreso un buon mestiere. L’avere cioè accumulato tante conoscenze stratificate rispetto ad un argomento di cui si è diventati abili esecutori, ma questa non è libertà.
Così come un pianista non pensa intenzionalmente a schiacciare ogni tasto del pianoforte quando suona. Si affida alla sua pratica e suona sulla base di condizionamenti e memorie accumulate nel tempo. Così è per ogni azione e scelta della mente.
È vero quindi che la mente plasma e controlla il cervello, rendendoci capaci di compiere certe azioni o certe scelte (si parla appunto di neuroplasticità), ma solo se viene allenata a farlo in modo consapevole, può indirizzare i cambiamenti verso un maggiore benessere.
A questo serve la pratica dei monaci o dei mistici o dei saggi che si dedicano ogni giorno agli esercizi spirituali.
Attraverso la meditazione divento consapevole di ciò che accade dentro di me a livello molto sottile. Divento capace di osservare i miei pensieri mentre si formano e arrivano alla coscienza.
Ed è semplice: basta sedersi immobili ad occhi chiusi ogni giorno per un po’ di minuti e contemplare lo scorrere dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni del corpo.
Sviluppare l’osservatore dentro di noi ci rende meno automatici, meno vittime dei condizionamenti passati.
Diventare padroni di se stessi è possibile:
basta meditare ogni giorno!
E se non sai da dove cominciare, puoi ascoltare le mie meditazioni guidate GRATUITE
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