Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
vv. 119-120, canto XXVI, Inferno, Dante


​Nei post precedenti ho descritto come diversi studi medico-clinici dimostrino che la meditazione favorisce il benessere psico-fisico

Nel post “Meditare per vivere meglio o per raggiungere il Nirvana?” ho anche riflettuto su come la profonda pace interiore, che si contatta meditando, sia in grado di placare un poco l’ansia esistenziale. Chi si accontenta di assaporare questa calma, che emerge con il progredire della contemplazione, può non farsi troppe domande e sentirsi appagato così. I curiosi, invece, dopo aver meditato per un po’ di tempo, si imbatteranno nei concetti buddisti di vuoto, non-sé e impermanenza (o nel concetto induista di illusione della realtà materiale), e si interrogheranno su questo nuovo modo di percepire la realtà che hanno sviluppato.

Ma davvero in meditazione possiamo avere intuizioni profonde sulla natura ultima delle cose?

Rimanendo immobili ad occhi chiusi con la mente focalizzata in un punto, percepiamo il mondo in modo diverso dall’ordinario (cioè fondato soprattutto sulla vista e sull’udito).
In meditazione il cervello presenta in effetti una dominante di onde alfa, che hanno una frequenza più bassa e un’ampiezza più grande delle onde beta (tipiche della veglia) e una frequenza più alta delle onde lente del sonno.
Va da sé dunque che se il cervello funziona in modo diverso, cambia la nostra percezione delle cose.

Quando gli stimoli sensoriali sono ridotti al minimo per un tempo prolungato, come in meditazione, capita di sentirsi infiniti e leggeri, si perde il senso dell’io, pur rimanendo perfettamente coscienti, e si diventa anche testimoni dei mutevoli stati transitori dell’essere. Tutti fenomeni che accadono nella nostra mente, la quale nel frattempo si è come dilatata e, mentre di solito siamo abituati a collocarla nella testa, appare anche diffusa in tutto il corpo o nello spazio circostante o persino delocalizzata.
Queste esperienze transitorie però ci sfuggono non appena torniamo alla nostra vita quotidiana e quando tentiamo di spiegarle con la mente logico-razionale ci sembra sempre di sminuirle. Qualsiasi interpretazione data a posteriori appare insomma sempre posticcia.

​Che la propria mente influisca sul proprio corpo, invece, come dicevo all’inizio, è un fatto ampiamente dimostrato a livello sperimentale.
Negli ultimi decenni, oltre agli effetti della meditazione, è stato infatti studiato ad esempio l’effetto placebo, un’altra interazione tra mente e corpo molto conosciuta in ambito clinico, in cui aspettative, apprendimento (anche inconscio) e suggestioni dovute al luogo o al rituale provocano eventi biochimici e fisiologici capaci di risolvere un quadro clinico (anche se solo il 40% delle persone però risponde al placebo, non tutti).

E che relazione c’è invece tra la nostra mente e il resto della realtà?

Alcuni sono convinti che il pensiero abbia il potere di influenzare in qualche modo gli eventi. Sebbene la mia esperienza personale mi suggerisca che lì si nasconda un fondo di verità, mi devo arrendere all’evidenza che, dopo il tentativo fallimentare degli eminenti Jung e Pauli, che qualche decennio fa avevano cercato invano una relazione tra il pensiero e gli eventi del mondo, nessun progresso è stato fatto in questa direzione. Siamo di fatto di fronte ad un mistero. E dove finisce la scienza inizia il mondo delle opinioni personali, che possono essere infinite. Insomma senza prove ognuno può dire la sua.

Fino ad oggi la scienza ha considerato la realtà come oggettiva, escludendo la coscienza, il significato e l’esperienza.
Il modo di approcciare la realtà usato fino ad oggi ha dato enormi risultati e ci ha portato fino a qui, ma è tempo di cambiare paradigma, cioè di cambiare proprio il modo di guardarla questa realtà.

Alla luce delle scoperte della fisica quantistica e della relatività generale in effetti forse qualcosa nell’approccio scientifico dovrebbe cambiare. Dopotutto anche il metodo sperimentale, utilizzato oggi, non è stato sempre valido, ma discende da Galileo. Forse, dopo 400 anni, è tempo di una nuova rivoluzione metodologica.

Di fatto, però, nessuno ha trovato una soluzione ai problemi che la fisica cerca di risolvere ormai da decenni. E così negli ambienti new age, e non solo, spuntano ovunque personaggi carismatici capaci di vendere facili soluzioni agli assetati di verità.

Ricordo però che, mentre la spiritualità e le religioni cercano di rispondere ai quesiti sul significato della vita, la scienza procede nel suo compito di spiegarci i meccanismi e le leggi che governano la realtà materiale in cui viviamo. Nel far questo la scienza non cerca la verità, ma procede per falsificazione.​

La scienza non cerca la verità, ma procede per falsificazione

Una teoria cioè non è scientifica se non può essere smentita dall’esperienza (altrimenti si entra nel campo della metafisica). Il progresso scientifico avviene dunque per falsificazione delle teorie esistenti e l’invenzione di nuove teorie, falsificabili, che ne prendono il posto.

Questo è avvenuto ad esempio un secolo fa quando la teoria gravitazionale di Newton è stata falsificata dalla teoria della relatività generale di Einstein, la quale sarà magari falsificata se, cercando di conciliare la meccanica quantistica con la relatività, sarà dimostrato che il continuum spaziotemporale è in realtà discreto e non continuo (ad esser precisi la teoria della gravitazione di Newton è un caso particolare della teoria di Einstein, la quale a sua volta forse diventerà un caso particolare della nuova teoria che verrà).
Il progresso scientifico non consiste dunque nell’accumulo di certezze, ma nella progressiva eliminazione degli errori, così come avviene nell’evoluzione biologica.

Per ora, inoltre, la scienza procede per dati oggettivi, a prescindere dal fascino delle proposte di alcuni scienziati o pseudo-scienziati. Albert Einstein è da tutti considerato un genio, non perché fosse stravagante o giudicasse errato il modo di operare di altri, ma perché ha formulato delle teorie che hanno stravolto il nostro modo di guardare alla realtà e che sono state ripetutamente dimostrate a livello sperimentale.

Il GPS che usiamo per orientarci utilizza le equazioni della relatività generale

​Ad esempio, il GPS che usiamo per orientarci utilizza le equazioni della relatività generale che prevede che il tempo scorra più velocemente allontanandosi dal centro gravitazionale (per i satelliti che orbitano la Terra in questo caso). Senza questi calcoli, utilizzando il tempo assoluto della fisica classica, il nostro GPS non funzionerebbe!

Certo è che, nonostante l’avanzare della scienza, tanti fenomeni rimangono elusivi e misteriosi. Anzi, tanto più avanza il progresso scientifico, tanto più la realtà appare imprevedibile e inafferrabile. L’unico principio conoscitivo sempre valido sembra essere: più sai e più sai di non sapere.

Nonostante questo, a me piace pensare che l’umanità esista per sollevare il velo dell’apparenza e scoprire l’essenza di ciò che è reale. Questo processo però potrebbe non finire mai.
Se la scienza opererà un cambio di rotta, introducendo metodi diversi o nuove variabili, forse si apriranno nuovi scenari nella nostra comprensione, e certe esperienze che avvengono in meditazione saranno spiegabili, così come oggi sono noti i fenomeni alla base dei fulmini, mentre un tempo si credeva che i fulmini fossero lanciati dagli dei arrabbiati.
​Intanto possiamo continuare a praticare la meditazione di consapevolezza, perché è un metodo empirico, che chiunque può sperimentare ovunque: ti siedi e contempli ciò che c’è, così com’è, senza desiderare di cambiarlo. Non è necessario credere in qualcosa o dimostrare alcunché. Così mentre gli scienziati più geniali continuano con le loro scoperte straordinarie, io continuo dunque a meditare!