Il mito della caverna, uno dei più celebri racconti filosofici di Platone, offre una profonda riflessione sulla natura della realtà e della conoscenza. In questo mito, Platone ci descrive un gruppo di prigionieri incatenati fin dalla nascita in una caverna, costretti a guardare solo la parete di fondo. Alle loro spalle, un fuoco proietta le ombre di oggetti e persone che si muovono, creando un mondo di ombre che i prigionieri credono essere la realtà.
Quando uno dei prigionieri riesce a liberarsi e uscire dalla caverna, scopre il mondo esterno, una realtà molto più vasta e luminosa. Tornato nella caverna per liberare gli altri, viene deriso e non creduto, poiché i prigionieri non possono comprendere una realtà diversa da quella delle ombre.
Questo mito può essere visto come una metafora della meditazione. La caverna rappresenta la nostra mente condizionata, immersa nelle illusioni e nei pensieri abituali che ci tengono prigionieri. Le ombre sono le nostre percezioni distorte, mentre la luce del mondo esterno rappresenta la verità e la consapevolezza che possiamo raggiungere attraverso la pratica meditativa.
La meditazione, come il viaggio del prigioniero verso l’esterno, è un processo di liberazione. Iniziamo a distaccarci dai pensieri automatici e dalle credenze limitanti, osservandoli con distacco. Meditando, possiamo sperimentare una maggiore chiarezza mentale e una connessione più profonda con la realtà.
Come il prigioniero che torna nella caverna, chi medita spesso affronta incomprensioni e scetticismo da parte degli altri. Tuttavia, la pratica costante porta a una trasformazione interiore, offrendo una visione più autentica e libera della vita.
In conclusione, il mito della caverna di Platone e la meditazione condividono un tema comune: la ricerca della verità e della libertà interiore. Entrambi ci invitano a guardare oltre le apparenze e a esplorare le profondità della nostra mente, per scoprire una realtà più autentica e luminosa.
Praticare la meditazione di consapevolezza sviluppa nel tempo un senso crescente di libertà e autenticità. Scriverne è un po’ riduttivo, perché non si tratta di un concetto, ma di un’esperienza, la cui portata si può cogliere solo vivendola. Come si potrebbe d’altronde spiegare il gusto di una mela a chi non l’hai mai assaggiata? Eppure ci si può provare: a descriverlo a parole.
La meditazione di consapevolezza consiste nell’osservazione non giudicante dei propri processi fisiologici e mentali. Meditare con continuità allena infatti la presenza mentale. Essere consapevoli di ciò che accade dentro di sé attimo dopo attimo è il requisito essenziale per approfondire sempre più la comprensione di se stessi e arrivare ad afferrare la natura della realtà in modo autonomo e indipendente, al di là di qualsiasi concetto o interpretazione. Siccome quest’affermazione può risultare vuota per chi non ha mai praticato la consapevolezza, mi aiuto con il famoso mito della caverna (Il Mito della Caverna è all’inizio del Libro Settimo de La Repubblica di Platone).
Più di duemila anni fa Platone utilizzò quest’allegoria per descrivere l’ordinaria condizione umana rispetto alla conoscenza della realtà ed è perfetta per me per cercare di illustrare la condizione di chi ha intrapreso la difficile impresa di conoscere se stesso e la realtà, ma non sa come comunicarlo agli altri.
Che cos’è la realtà?
Immaginiamo che nel fondo di una caverna ci siano dei prigionieri che, essendo incatenati fin da bambini alle gambe e al collo, sono incapaci di girarsi e di vedere un fuoco che arde all’ingresso della caverna. Immaginiamo poi che tra i prigioneri e la luce del fuoco ci sia un muretto e che dietro al muretto camminino delle persone che portano sopra la testa diversi oggetti.
L’unica realtà conosciuta dagli uomini incatenati sono dunque le ombre proiettate dagli oggetti sul fondo della caverna. Immaginiamo ora che uno di loro venga liberato dalle catene e arrivi all’entrata. La sua prima esperienza sarà un forte dolore agli occhi per la luce abbagliante. Gli oggetti all’esterno gli sembreranno poi meno reali delle ombre a cui è abituato ed anche toccandoli e individuando la fonte di luce, rimarrà dubbioso perché è tutto troppo diverso da ciò che conosce per poterne accettare subito l’esistenza. Soffrendo inoltre nel fissare il fuoco, si girerà istintivamente a guardare le ombre a lui familiari.
Dopo un po’ di tempo potrà però sostenere la luce e abituato alla nuova situazione, potrebbe per curiosità avventurarsi ad esplorare il mondo fuori dalla caverna. Scoperta dunque una realtà diversa, molto più bella di quella che conosceva prima, vorrebbe allora tornare indietro ed avvertire i compagni incatenati che ancora credono alle ombre. A quel punto dovrà però riabituare gli occhi all’oscurità e attendere prima di vedere bene nel fondo della caverna. I prigionieri lo guarderebbero allora con sospetto e riderebbero di lui, perché tornato con gli occhi malati. Se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, potrebbe persino essere ucciso, perché i prigionieri si rifiuterebbero di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare una realtà che per loro non esiste. L’uomo liberato dal canto suo non può più ormai concepire il mondo come prima, limitato alla sola comprensione delle ombre.
La realtà è vuota e in continuo cambiamento
Cosa significa questa storiella?
Nel prigioniero liberato Platone descriveva il ruolo del filosofo. Alla luce delle recenti scoperte scientifiche, soprattutto nel campo della fisica e delle neuroscienze, mi piace vedere nell’esperienza della liberazione dalle catene, la potenzialità di risveglio di ogni essere umano dal sonno dell’ignoranza, che tiene incatenati a superstizioni e credenze cieche.
Ma di quale ignoranza stiamo parlando?
La tendenza comune è di identificarsi con il proprio corpo, i propri sentimenti e le proprie idee, vissuti spesso come reali, solidi e immutabili. La fisica invece ci dice che la realtà a livello atomico è soprattutto vuota e in continuo cambiamento e le neuroscienze dimostrano che ciò che percepiamo dentro e fuori di noi è solo un’elaborazione di informazioni che girano nei nostri circuiti neuronali, cambiati i circuiti cambia la realtà (di noi stessi e del mondo). Il modo in cui elaboriamo il nostro mondo soggettivo è rappresentato bene ad esempio nel film The Matrix il cui la realtà personale, costruita nel film attraverso il codice informatico, emerge dal cervello delle persone.
Può sembrare astruso e lontano dalla nostra vita quotidiana, ma tutto ciò che crediamo reale e immutabile in realtà non lo è. In effetti io sto usando una tastiera per scrivere, un software che è stato implementato da esperti programmatori e un linguaggio che è il frutto di millenni di sviluppo di questa abilità nelle popolazioni dei miei antenati. Insomma sembro affidarmi a tutta una serie di oggetti concreti e non sto usando, ad esempio, la telepatia per comunicare con te ora. Già. La specie umana ha plasmato ciò che appare ai propri sensi creando un mondo di oggetti e idee che possiamo condividere proprio perché appartenenti alla stessa specie (un canguro, una zanzara o un extraterrestre abiteranno un mondo tutto loro che noi non potremo mai comprendere). Tutte le antiche vie di conoscenza però hanno sempre ammonito a non credere solo ai nostri sensi e a ciò che appare alla coscienza ‘ordinaria’, perché con tecniche precise è possibile accedere ad altra conoscenza. A differenza però delle pratiche che hanno promosso l’utilizzo di sostanze psicoattive o l’induzione di stati di trance o di perdita di coscienza, la meditazione di consapevolezza, che affonda le radici nell’antica India, mira ad ampliare la comprensione della realtà sviluppando l’attenzione della mente cosciente. Dalla fine del ventesimo secolo è inoltre oggetto di studi scientifici rigorosi che ne hanno dimostrato l’utilità per migliorare la nostra salute fisica e psichica. E chissà che il suo rapido diffondersi, grazie a questi risultati, riesca a far sviluppare nell’umanità tutta un nuovo modo di vedere la realtà anche a livello percettivo.
Una risposta a “Il Mito della Caverna di Platone”
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